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MonoMondiale

 

di Filippo Gherardi

 

Che fosse un predestinato era chiaro sin dal primo momento in cui è salito, nel 2008, in sella alla KTM nella classe 125, cogliendo nella stessa stagione, la prima in assoluto da professionista, un terzo posto a Donington alla giovanissima età di 15 anni e 4 mesi. Da allora, di fatto, Marc Marquez non si è più fermato. Mondiale in 125 nel 2010, in Moto 2 nel 2012 e lo scorso anno, all’esordio nella classe regina, in Moto Gp. Ma è quest’anno che il Fenomeno di Cervera, piccolo comune di 9mila abitanti incastonato nel cuore della Catalonga, sta “minacciando” la storia. Dopo nove successi in altrettanti Gran Premi disputati, dopo aver vinto su circuiti dove fino a quel momento non era mai salito sul gradino più alto del podio, dopo aver trionfato in fuga solitaria tanto quanto al termine di volate mozzafiato, partendo dalla pole o, come è successo nell’ultimo Gp del Sachsenring, addirittura dalla pit-lane, i numeri del numero 93 più famoso dello sport mondiale stanno diventando qualcosa di normale in un contesto del tutto eccezionale. Con la vittoria ad Assen, l’ottava di fila, aveva distanziato Rossi nel computo di successi consecutivi (con il Dottore fermo a quota 7 vittorie nel 2002) e raggiunto Giacomo Agostini (l’unico prima di Marquez ad aver ottenuti 8 sigilli consecutivi nel 1971). Ora il campionissimo bresciano, almeno in termini di strisce vincenti, rimane il prossimo obiettivo di Marc: dieci successi, se anche il prossimo 10 agosto ad Indianapolis il pilota della Honda dovesse transitare davanti a tutti sotto la bandiera a scacchi, esattamente come il mitico Ago fece per tre anni di fila (’68, ’69 e ’70) e come solo un meraviglioso Michael Doohan, nel 1997, riuscì ad eguagliare. Mito di Agostini a parte, la consapevolezza diffusa è che mai, nemmeno ai tempi d’oro di Rossi o dello stesso Doohan, il Motomondiale ha vissuto un dominio così evidente. Marquez non “scende” dal podio dal 2 giugno 2013, dallo scivolone del Mugello e se non teniamo conto della squalifica inflittagli ad ottobre in Australia. Mantenendosi su questi livelli, disumani, vincendo le prossime cinque gare si laureerebbe Campione del Mondo in Aragona, con almeno con 4 Gp di anticipo (ma non è escluso anche prima ndr), anche se Dani Pedrosa, il secondo attuale nel Mondiale Piloti, centrasse nelle medesime cinque gare ogni volta il secondo posto. Nessuno come lui, nessuno come lui a 21 anni. Il mondo, non solo quello delle due ruote, lo ammira, esalta e conosce ogni giorno sempre di più. Il circus della Moto Gp, tecnici ed avversari si domandano su chi saprà tornare, concretamente e prima o poi, a contendergli lo scettro di dominatore indiscusso.

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FCA, l’inizio di una nuova era?

 

di Filippo Gherardi

 

Fiat Chrysler Automobiles, tre parole per riassumere una rivoluzione automobilistica oltre che economica e culturale. Il nuovo ex gruppo Fiat ha preso ufficialmente corpo al termine del Cda che si è svolto lo scorso 29 gennaio, internazionalizzando come più (e meglio?) non avrebbe potuto fare la sua struttura interna. Sede legale in Olanda, mentre quella fiscale è stata “confinata” in Gran Bretagna, ed azioni quotate oltre che sulla borsa di Milano anche (e soprattutto) presso quella di New York. Una rivoluzione, come detto, per quello che è da sempre il brand trainante del mercato automobilistico italiano, ma come tale, e come ogni buona rivoluzione che si rispetti, anche non esente da perplessità, scetticismo e qualche critica. Tralasciando l’aspetto strettamente nazionalistico, con lo storico Lingotto torinese ormai destinato a qualcosa di molto vicino ad una “sede storica”, il capitolo che più sta a cuore è, inevitabile, quello legato alle sorti delle aziende sparse sul territorio e, ancor più gravoso, dei loro dipendenti. Una decentralizzazione così evidente potrebbe avere ripercussioni? Ancora è presto per dirlo ma non, necessariamente, per temerlo. Secondo poi, la nascita di un gruppo industriale protagonista su ambedue i lati dell’Oceano può permettere al neonato marchio FCA di tenere botta nei confronti degli altri gruppi presenti sul mercato? L’augurio, comunque vada, rimane questo, ma per riuscirci occorrerà rinverdire una gamma vetture che negli ultimi tempi è sembrata un po’ a corto di brillantezza ed originalità, valorizzando i propri punti di forza e trovandone, se possibile, degli altri. Ben vengano, quindi, l’Alfa Romeo 4C premiata “Auto più Bella dell’Anno 2013” all’ultimo Festival Internazionale dell’Automobile di Chamonix, la Maserati Ghibli proiettata in diretta, davanti a 110 milioni di spettatori, in occasione dell’ultimo Super Bowl ed anche un logo rivisitato e più “intercontinentale”. Tuttavia per far si che questa rivoluzione porti i frutti sperati occorrerà, per forza di cose, molto e molto di più.

Editoriale

Andrea e gli altri

 

di Filippo Gherardi

 

Andrea Antonelli avrebbe compiuto ventisei anni il prossimo gennaio, sognava un futuro tra i big, almeno della Superbike, prima che il destino interrompesse bruscamente la sua corsa sull’asfalto, bagnato, del Moscow Raceway. L’ennesima tragedia di un universo, quello dei motori, bello, adrenalinico ma anche contraddittorio e pericoloso. Antonelli come Jarno Saarinen e Renzo Pasolini nel 1973, primi nomi di un elenco destinato a rimanere per forza di cose un’eredità pesantissima nella memoria e nel ricordo di tutti. A loro si aggiunsero per quel che riguarda le moto, con gli anni e tra gli altri, anche Noboyuki Wakai, Daijiro Kato e Marco Simoncelli. I numeri purtroppo non calano, anzi aumentano se possibile, rivolgendo uno sguardo anche alle quattro ruote e più nello specifico alla Formula 1. Una lunga lista di tragedie cominciate nel 1953 con Chet Miller alla 500miglia di Indianapolis, e che arriva fino al “divino” Ayrton Senna e al suo schianto alla curva del Tamburello datato 1994. Nel mezzo un totale di ventinove nomi, tra cui quello di Gilles Villeneuve ma anche dei nostri Luigi Musso, Lorenzo Bandini e Riccardo Paletti, che raccontano storie e sogni infranti, nascondendo tragedie e tanti interrogativi. Nelle ultime settimane la morte è tornata grande protagonista sulle pagine e nei commenti di chi, come noi, racconta innanzitutto una passione. Il 23 giugno Allan Simonsen perde la vita, oltre che il controllo della sua Aston Martin, in prossimità della curva Tertre Rouge nel corso della 24Ore di Le Mans. Una settimana dopo è la volta di Andrea Mamè, 41enne pilota milanese coinvolto in un incidente fatale nel corso del primo giro del Super Trofeo Blancpain Lamborghini. Altri sette giorni ancora e la stessa sorte è toccata, lo scorso 8 luglio, a Maurizio Zucchetti, 52 anni, deceduto nel corso della tappa di San Severino Marche del campionato italiano di motorally, investito dalla sua stessa moto che si è ribaltata in salita, schiacciato da quella voglia di sentirsi ancora più veloce degli altri che non conosce limiti o età. Andrea Antonelli è solo l’ultimo di una lista di campioni, o aspiranti tali, macchiata dal sangue ancor prima che dalle polemiche. Le interpretazioni approssimative di un regolamento che scandisce istanti e frammenti della vita di ciascun pilota lasciano, inevitabilmente ed ogni volta, spazio al silenzio e al dolore. Ha ragione Melandri a richiedere maggior attenzione e cura delle norme di sicurezza. Non è facile impedire al destino di fare il suo corso, ma in alcuni casi vorremmo convincerci che qualcuno, forse, potrebbe anche provarci.